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Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono.

“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono.”
Con questa frase Giorgio Gaber racchiude lo spirito di una delle sue canzoni più celebri e controverse, “Io non mi sento italiano”, pubblicata postuma nel 2003 nell’album “Io non mi sento italiano”. Un brano che non è soltanto una canzone, ma un vero e proprio manifesto civile, una riflessione profonda sull’identità nazionale, sulla storia e sull’appartenenza.


La voce di un’Italia divisa tra amore e critica

Gaber interpreta il suo rapporto con l’Italia con l’intelligenza e la lucidità che lo hanno sempre contraddistinto. Il testo è un dialogo diretto, quasi confessionale, con il Presidente della Repubblica, un simbolo dell’autorità e dello Stato, a cui il cantautore rivolge le proprie perplessità, le proprie delusioni e anche un briciolo di speranza.

L’Italia che Gaber descrive è fragile, confusa, spesso ipocrita, un paese in cui il senso civico vacilla e la retorica patriottica suona stonata. Non c’è odio, però, nel suo discorso: c’è amarezza e affetto, un sentimento di delusione che nasce solo da chi ama profondamente ciò che critica.


Un’identità nazionale problematica

Il cuore della canzone sta in quell’apparente paradosso: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. L’identità italiana, per Gaber, è qualcosa che si subisce, ma che al tempo stesso è impossibile negare. L’orgoglio nazionale, spesso evocato nei momenti sportivi o nelle celebrazioni ufficiali, viene messo in discussione:

“Non sento un gran bisogno dell’inno nazionale / di cui un po’ mi vergogno”

Queste parole non sono frutto di superficialità o provocazione, ma di una profonda consapevolezza storica e culturale, quella di un artista che ha visto il Paese attraversare le ombre del fascismo, il boom economico, le contraddizioni della democrazia e l’incapacità della classe politica.


Rinascimento e spaghetti: lo stereotipo e l’orgoglio

Gaber denuncia anche la caricatura con cui spesso gli italiani vengono etichettati all’estero – “spaghetti e mandolini” – contrapponendovi con fierezza il valore autentico della nostra cultura:

“Son fiero e me ne vanto / gli sbatto sulla faccia / cos’è il Rinascimento”

È uno dei momenti più intensi della canzone: un grido d’orgoglio culturale che emerge da una lunga sequenza di critiche. È qui che Gaber mostra la complessità dell’identità italiana, fatta di contraddizioni ma anche di grandezza, di confusione ma anche di bellezza.


Fare l’Europa, ma anche l’Italia

Nel finale, la canzone lascia spazio a una riflessione quasi politica: l’Europa è stata costruita, ma l’Italia ancora manca di un progetto collettivo e condiviso. L’unità nazionale, quella vera, fatta di valori comuni e partecipazione civica, è ancora un traguardo lontano.

“Abbiam fatto l’Europa / facciamo anche l’Italia”

Non è solo una battuta ironica, è un invito, forse l’ultimo, di un artista che ha sempre creduto nel potere della cultura e della coscienza civile.


Conclusione: un testamento morale

“Io non mi sento italiano” è molto più che una canzone. È un testamento morale di Giorgio Gaber, uno dei pensatori più lucidi del Novecento italiano. È un invito ad amare l’Italia non ciecamente, ma con senso critico, memoria storica e responsabilità. Un invito a non nascondere le ombre, ma a cercare comunque la luce.

In tempi di nazionalismi gridati e identità urlate, Gaber ci ricorda che l’appartenenza non si impone, si conquista. E che essere italiani, per fortuna o purtroppo, significa prima di tutto fare i conti con se stessi.