“Il pescatore” di Fabrizio De André: la poesia del perdono
“All’ombra dell’ultimo sole s’era assopito un pescatore…”
Con questo incipit semplice e lirico, Fabrizio De André ci introduce in un mondo sospeso tra il reale e il simbolico, tra cronaca e parabola. “Il pescatore”, scritta nel 1970 con la collaborazione di Gian Piero Reverberi, è una delle canzoni più iconiche del cantautore genovese, una ballata folk che racchiude, nella sua brevità, un’intera visione etica e spirituale dell’uomo e della giustizia.
Un racconto essenziale, dal valore universale
La struttura della canzone è quella di una narrazione lineare, quasi una favola moderna. Un vecchio pescatore dorme sulla spiaggia, quando viene svegliato da un assassino in fuga. L’uomo chiede pane e vino, dichiarando esplicitamente la sua colpa: “ho sete e sono un assassino”. Il pescatore, senza giudicare, spezza il pane e versa il vino, compiendo un gesto di accoglienza e di misericordia.
Successivamente arrivano due gendarmi, armati, alla ricerca del fuggitivo. Ma il vecchio, tornato a dormire sotto il sole, non fornisce alcuna informazione. E nel finale, De André ripete il verso iniziale, con quel “solco lungo il viso come una specie di sorriso”, che acquista ora un significato ancora più profondo.
Un simbolismo potente: il pescatore come figura cristica
Il personaggio del pescatore è una figura carica di simbolismo. In molti hanno visto in lui un Cristo laico, o meglio, una figura evangelica incarnata nella quotidianità. Il pescatore non giudica, non fa domande, ma offre ciò che ha, compiendo un gesto di carità autentica e radicale. La sua non è una giustizia “umana”, bensì una giustizia del cuore, che antepone il bisogno e la dignità dell’altro a ogni considerazione morale o legale.
Questo gesto evoca anche le parabole evangeliche e i valori del perdono e della compassione, ma lo fa con la sobrietà tipica di De André: senza proclami religiosi, senza prediche. Solo azione, solo poesia.
La dualità tra legge e umanità
Il contrasto tra il pescatore e i gendarmi è netto. Da una parte l’umanità, la pietà, la condivisione. Dall’altra l’autorità, la legge, il dovere. Ma De André non prende una posizione ideologica: il pescatore non è un eroe, i gendarmi non sono mostri. È la società che mostra il suo volto contraddittorio, divisa tra giustizia retributiva e giustizia compassionevole.
Musicalmente, una ballata intramontabile
La versione originale è semplice, acustica, quasi sussurrata. Ma è con l’arrangiamento del 1979, reinterpretato dalla PFM (Premiata Forneria Marconi), che la canzone ha acquisito nuova vita, con un tono più ritmico e trascinante, diventando un classico intramontabile nei concerti e nella memoria collettiva italiana.
Conclusione: una parabola laica sul senso dell’umano
“Il pescatore” è una canzone breve, ma densissima. Parla del perdono, della misericordia, della dignità umana. Non offre risposte semplici, ma ci lascia con un’immagine indimenticabile: quel solco sul volto, che è insieme ruga, ferita, esperienza e sorriso. Un sorriso che racchiude tutto il mistero e la bellezza del gesto gratuito.
In tempi in cui il giudizio è spesso rapido e superficiale, De André ci invita a guardare l’altro — anche il colpevole — con occhi diversi. Quelli dell’uomo, prima che della legge.